CASTRUM RUSSI – 650 ANNI

Parte VII – Castrum e attività didattiche, un dovere di civilizzazione

Questo 2021 che nel titolo della rassegna celebra i 650 anni dalla fondazione del Castrum Russi sarà ricordato nella storia come secondo della pandemia da Covid… la storia procede inesorabile, ma non impedisce di ricordare. La carrellata storica a puntate, nelle intenzioni, vuole anche stimolare la curiosità di meglio conoscere vicende e personaggi che a Russi hanno lasciato il segno. Leggere integralmente i testi già citati è sicuramente il primo passo, ma la comprensione passa anche e soprattutto dalla conoscenza diretta del tessuto urbano perché osservato con occhio attento svela il passato. Per questo motivo la Pro Loco fin dai primi anni 2000 ha promosso incontri con le scuole e percorsi guidati tra strade, edifici e mura del centro storico alla ricerca delle testimonianze del passato e della loro trasformazione (o distruzione). Risale alla fine degli anni ’90 l’allestimento all’interno della Rocca della Pinacoteca dell’Azienda USL, al 2004 l’esposizione del Fondo Baccarini nel sotterraneo appena ristrutturato del torrione. In concomitanza di quelle trasformazioniPier Franco Ravaglia aveva edito un opuscoletto dedicato al Castrum ovvero all’elemento storicamente più caratterizzante dell’abitato, del 2007 è il volume a cura di G. Foschini edito dalla Pro Loco. Gli alunni, da allora,* hanno potuto avvicinarsi alle fonti materiali ed insieme fare esperienza diretta delle trasformazioni del contesto cittadino. I percorsi, ancora oggi proposti alle classi del territorio in ogni ordine e grado e modulati in base alle loro competenze per età, hanno sempre ottenuto notevole riscontro da parte dei docenti e degli stessi alunni, anche in considerazione del fatto che nei programmi di studio la storia locale ha poco spazio, ma da essa nasce la consapevolezza della propria identità culturale, o almeno del luogo in cui ci si trova a vivere e diventa al giorno d’oggi anche strumento d’integrazione sociale per gli studenti di origine straniera. Conoscenza della storia locale quindi come memoria collettiva di una società che trova riscontro nel nostro presente che del passato è erede.

Simonetta Secchiari volontaria attiva Pro Loco Russi

* Nel corso di quasi vent’anni di attività didattica la Pro Loco ha accompagnato e guidato nel percorso del Centro Storico ed al Museo presente nella Rocca oltre 4.000 studenti e le visite guidate al Museo, Antiquarium della Villa Romana e Sale della città, nello stesso periodo temporale, hanno sfiorato le 9.000 persone.

CASTRUM RUSSI a cura di Giorgia Foschini ed. Pro Loco Russi 2007 – Il Maschio della Rocca trasformato in museo – opuscolo IL CASTELLO DI RUSSI di Pier Franco Ravaglia ed. Pro Loco Russi 2002 – Palazzo del Municipio Stemma del Comune

Parte VI – LA ROCCA, DA OSPEDALE A MUSEO

Nei documenti, redatti ancor prima della costruzione del Castrum del 1371, si trovano riferimenti al termine “hospitale”; di solito era un alloggio per accogliere gli ammalati poveri, i pellegrini per non più di tre giorni e, come nel caso di Russi, anche i trovatelli. Agli inizi del 1500 si trovano i primi riferimenti alla Compagnia di Santa Maria in Albis, quale confraternita religiosa affidataria del compito di mantenere attivo l’Ospedale che, allora, si trovava all’esterno delle mura. Le visite pastorali dei vescovi prevedevano, oltre alle verifiche dei luoghi di culto e loro amministrazioni, anche quella dell’ospedale e del suo buon funzionamento. Con il passare del tempo tale situazione non era più idonea e alla fine del ‘700 numerosi malati erano costretti al ricovero presso l’ospedale di Faenza. La popolazione di Russi comincia quindi a richiedere l’istituzione di un nuovo e più idoneo luogo di ricovero stante anche i “progressi” della scienza medica. Il 12 marzo 1830, alla sua morte, Giovanna Maccabelli lascia tutto il suo patrimonio alla Congregazione di Carità allo scopo di realizzare un nuovo ospedale. Tale testamento derivava dalla volontà del fratello don Francesco, che fin dal 1808 concede i propri beni a Giovanna per tale finalità. Domenico Antonio Farini è l’artefice principale per arrivare a tale lascito e molto fece affinché si individuasse nella Rocca il luogo nel quale edificare il nuovo ospedale. Nel 1832 si avviano i lavori per essere conclusi nel 1846, l’apertura ufficiale avvenne il 28 marzo 1848. Nel 1930, il 21 di aprile, si inaugurano i nuovi padiglioni per la degenza e le sale operatorie e anche i locali per l’ospizio dei cronici già intitolato ad Alfredo Baccarini. Le nuove costruzioni, compresa quella degli anni sessanta, si sovrappongono man mano alle antiche mura della rocca, restando visibili, come ancora oggi li vediamo, solo il maschio e la torre rotonda. L’ospedale dai primi anni ‘80 viene depotenziato e nel 1996 chiude definitivamente quale nosocomio a servizio della cittadinanza.

Nel 1997 i locali che avevano visto il primo nucleo ospedaliero sono trasformati in Pinacoteca: l’USL ravennate colloca in essi le collezioni d’arte provenienti dai centri della provincia. NON SOLO PIETÀ diventa il primo nucleo del Museo di Russi. Nel tempo vengono collocati i reperti archeologici della Villa Romana e nel 2004, con i lavori di recupero del piano terra e piano interrato del maschio, viene inaugurata l’esposizione del Fondo Baccarini. Sempre in quegli anni alcuni ambienti del primo piano, svuotati dalle opere d’arte dell’USL, diventano le Sale della Città.

Il Museo è anche il luogo di numerose attività didattiche promosse dalla Pro Loco dal 2004 per le scuole che ne fanno richiesta, inoltre i volontari della nostra Associazione si prestano ad accompagnare nella visita le persone e i gruppi che ne fanno richiesta e hanno organizzato aperture straordinarie in occasione di particolari eventi.

da: “QUATTRO PAZZI O DUE INFERMI” di Francesco Silvagni, Comune e Pro Loco Russi 1996

“MUSEO CIVICO DI RUSSI” di Marcella Domenicali Longo Editore Ravenna 2012

Rocca; medaglia commemorativa D.A.Farini; cittadinanza onoraria Torre Annunziata; sala operatoria nel 1970; brocche rinvenute alla Villa Romana nel pozzo della cucina; tondo delle donne.

Parte V – Le trasformazioni del XIX secolo

Nella seconda metà del ‘700 il castello comincia a diventare angusto per lo sviluppo dell’abitato e nel 1769 si apre Porta Nuova (nel capitolo 4 si è invertito il numero in 1796, seppure la lapide posta sopra la porta riporta un’altra data: 1760) . Nei primi anni dell’800 nel circondario sono presenti caseggiati: il Borgo largo, l’attuale via Garibaldi, il Borgo stretto ora via Mazzini, le case Farini in via Trieste, allora strada del circonvallo. Questa espansione, già documentata nelle mappe del XVII secolo, resta comunque separata dal castello in quanto sia le mura che il fossato sono ancora esistenti. L’arrivo dei francesi, con il nuovo spirito rivoluzionario da loro portato, reca una ventata di libertà e nuove esigenze si fanno largo nella popolazione. Una delle prime fu la richiesta di avere un teatro e nel 1813, in occasione del Carnevale, si hanno le prime rappresentazioni; successivamente, nel 1818, si avviano i lavori per il nuovo macello, poi si intraprendono i lavori di restauro della chiesa di S. Maria in Albis, il riadattamento della strada dei Servi, il primo nucleo dell’ospedale pubblico e il fabbricato destinato alla vendita delle carni e del pesce nel lato nord della strada detta lo steccato. Con la demolizione delle case che delimitavano la piazza (piazza Dante) si rinnovano gli spazi angusti del castello e un largo spazio, prospiciente la rinnovata chiesa Arcipretale e la chiesina in Albis, viene a formarsi al centro dell’antico abitato castellano, l’attuale piazza D. A. Farini. Nella metà del secolo si avviano i lavori del nuovo cimitero (il primo nucleo dell’attuale) e dal 1860, anche per onorare Luigi Carlo Farini uno dei principali artefici dell’Unità d’Italia, si danno inizio ai lavori d “ammodernamento” di Russi. La necessità di aprirsi maggiormente verso l’esterno determina la volontà di abbattere la Porta Vecchia e la costruzione del nuovo orologio pubblico, nell’agosto del 1863 si inaugura la ferrovia Ravenna -Castebolognese e con l’idea di collegare questo tratto con Faenza per raggiungere Firenze attraverso la linea faentina che, già in quegli anni, si metteva a progetto. Sempre in quel periodo si installano i “fanali” per illuminare le pubbliche strade che poi, al completamento del Regno d’Italia, assumeranno i nomi dei protagonisti del Risorgimento.

Il Comune, che allora aveva la sede in palazzo Ricci, l’attuale centro Culturale Polivalente, in occasione del conferimento del titolo di Città nel 1878 e anche per il contemporaneo arrivo a Russi delle ceneri di L. C. Farini, proclama una serie di festeggiamenti e commissiona monumenti in suo onore. Si prosegue poi con la realizzazione dell’edificio delle Scuole Elementari nel 1885 e nel settembre del 1887 fu inaugurato l’attuale teatro comunale ad opera dell’ing. Giuseppe Tramontani. Dopo L. C. Farini altri russiani rendevano onore alla Città di Russi nel regno d’Italia: suo figlio Domenico che ricoprì le cariche di presidente della Camera dei Deputati e poi del Senato e Alfredo Baccarini che fu Ministro dei LLPP; Baccarini morì a Russi nel 1890, Domenico mori a Roma nel 1900. Pur nella novità e modernità della trasformazione da paese in città Russi, nel XIX secolo, conosce due grandi epidemie di colera, la prima nel 1855 e poi la seconda che perdura dal 1883 al 1885. Per la risoluzione dei problemi igienico sanitari si dovranno attendere ancora alcuni decenni.

da: “RUSSI IL VOLTO DI CITTÀ” di Nullo Pirazzoli, Edizioni del Girasole Ravenna 1978

Parte IV – La rocca, le mura e il sistema difensivo

Come si è visto nei capitoli precedenti, il castello di Russi si è sviluppato nel tempo e secondo ben precise necessità belliche e in base alle risorse economiche del signore di turno. Guido Da Polenta realizzò ciò che oggi vediamo come mastio della rocca: una torre quadrangolare a tre livelli, dove nell’ultimo era realizzata la merlatura poi crollata con il terremoto del 1688. Il livello intermedio, oggi raggiungibile dall’interno dei locali del museo era servito da una scala, in parte ancora esistente, costruita nello spessore del muro tramite la quale si raggiunge anche la terrazza superiore. La parte inferiore suddivisa a sua volta in due piani tramite un soppalco ligneo era raggiungibile unicamente dal piano intermedio tramite una botola e scala a pioli. Tutte le murature sono in laterizio e la cordonatura stondata in pietra bianca oltre ad un motivo estetico aveva la funzione di barriera antiumidità. La torre era provvista di un pozzo interno utilizzabile da ogni piano.

Successivamente i Manfredi completarono le difese realizzando le mure e i baluardi della rocca. Sono ancora visibili il grande torrione sul lato nord e i resti un baluardo lato ovest nascosto fra gli edifici dell’ospedale. Alla rocca, difesa da un fossato largo 25 metri, si poteva accedere tramite un ponte levatoio che al suo calare appoggiava sul “ponte morto”,struttura fissa che si inoltrava nel fossato.

Il resto del paese era difeso da una cinta muraria, sempre a forma quadrangolare che ancora si può leggere nella topografia delle strade del centro storico. Unico accesso al paese era la “porta vecchia” prospiciente l’incrocio di strade che andavano: a sud verso Faenza passando per Prada, ancora a Faenza verso sud ovest lungo la Cacciaguerra che procedeva per Fossolo e Pieve Cesato e a nord verso Ravenna con la deviazione per l’antica Pieve di San Pancrazio e il territorio Forlivese. Agli angoli del quadrilatero delle mura c’erano i torresini, sono ancora visibili quello est nei giardini pubblici e quello sud in via Babini; quello a ovest resta in un cortile privato. I due torresini dei lati lunghi sono: uno inglobato nella chiesina del Carmine in via D’Azeglio e i resti dell’altro sotto il mercato coperto. Le mura erano realizzate a scarpa nel livello del fossato e verticali nella parte sopraterra con contrafforti ogni 3 metri circa e rinforzate con terrapieno derivante dallo scavo delle fosse, sopra il terrapieno a livello del parapetto vi era il camminamento di ronda che si poteva collegare ai torresini. Questi nel piano inferiore erano dotati di bombardiere, aperture per il tiro frontale e longitudinale alle mura. I torresini mostrano ancora oggi le evidenti tracce delle merlature della terrazza superiore. Dopo le invasioni della prima metà del XVI secolo le fortificazioni persero via via la loro funzione primaria, I ponti levatoi furono sostituiti da più resistenti manufatti in muratura e, nel 1796 lungo la “strada di mezzo” nel lato sud-est delle mura fu aperta Porta Nuova, il primo segno dell’apertura del castello di Russi verso un nuovo sviluppo urbanistico.

Da: “La Rocca i Torresini le Mura” di Stefano Saviotti in CASTRUM RUSSI op. cit.

Parte III – Dalle invasioni straniere allo Stato Pontificio

Nel corso del XV secolo le terre di Romagna, da Rimini a Bologna, non dipendevano direttamente dall’autorità temporale della Chiesa bensì le città erano governate da Signorie con statuti propri seppur redatti sotto la protezione dei Santi e convalidati dal Papa. Alessandro VI Borgia, dopo la sua nomina a pontefice, decise di domare la “ribellione romagnola” e riconquistare quelle terre. Cesare Borgia, il Valentino, raggiunse Forli nel 1499 e, dopo assedi e battaglie, conquistò città e castelli fra cui Russi alla fine del gennaio 1501, divenendo così Duca di Romagna. Con la morte del Papa Borgia le sorti del Duca Valentino mutarono e i Veneziani, che già governavano Ravenna, approfittarono della situazione per impadronirsi di Russi e Faenza nel 1503. Il nuovo papa Giulio II, assoldata un’armata, riprende possesso di Faenza e Russi nel maggio del 1509 riportandoli nello Stato della Chiesa. Negli anni successivi Russi fu invasa prima dall’esercito francese, al comando di Gastone de Foix fra il 3 e 4 aprile 1512 e successivamente, nell’aprile del 1527, dai Lanzichenecchi dell’esercito di Carlo V re di Francia in marcia verso Roma. Da allora Russi, persa la funzione di sentinella dei faentini sul confine ravennate, divenne una comunità assoggettata a Faenza che aveva il potere di nomina del Podestà, pur concedendo una sorta di autonomia decisionale con il Governo degli Anziani nominati dai cittadini del castello. Man mano la rocca e le mura del castello perdevano della loro funzione difensiva non eseguendosi più le dovute opere di manutenzione. Lo Stato Pontificio governò su Russi e la Romagna ininterrottamente sino all’Unità d’Italia nel 1861, con le sole eccezioni del periodo francese, dal 1796 alla restaurazione del 1815 e, nella brevissima esperienza della Repubblica Romana, nei primi giorni del 1849.

Piero Zama RUSSI NELLA STORIA Ed. F.lli Lega Faenza 1973

Parte II – Le contese, dai da Polenta ai Manfredi

Quando, nella seconda metà del ‘300 le lotte interne alla chiesa cattolica portarono alla elezione contemporanea di due Papi: Urbano VI e Clemente VII, le fortune della famiglia Da Polenta cominciarono a declinare. Nel 1381 il signore faentino Astorgio I Manfredi prese il castello di Russi in diritto di una sentenza, avversa alla famiglia ravennate, di papa Urbano VI. Con la condanna a morte di Astorgio I per tradimento nei primi del ‘400, Russi ritornò sotto la dominazione ravennate con Obizzo e poi Ostasio Da Polenta. Nel frattempo gli Estensi di Ferrara avevano invaso e occupato gran parte della Romagna posta sul lato sinistro del fiume Lamone e Venezia cominciava a far sentire la sua influenza su Ravenna che si palesò nel 1441, con la capitolazione della città e la prigionia nell’isola di Candia di Ostasio e la moglie Ginevra Manfredi. Nonostante pattuizioni diverse Astorgio II Manfredi, nonostante fosse imparentato con i Da Polenta, occupò Russi rafforzando e mantenendone la funzione di sentinella avanzata verso il territorio ravennate. In quei periodi si susseguirono battaglie e occupazioni anche da parte di milizie mercenarie che combattevano per gli Ordelaffi di Forlì o per i Visconti di Milano che parteggiavano per l’una o per altra parte dominanti altri territori della regione. Nel 1456 Astorgio II si rifugiò a Russi per salvarsi dalla peste nera che imperversava in tutto l’occidente, in quel periodo fece rafforzare le difese del castello e costruire la cinta muraria dell’abitato che, ancora oggi, è visibile in alcune parti della rocca e nei torresini dei giardini pubblici e di via Emilio Babini, nonché in quelli che restano celati dalle costruzioni dei secoli successivi.
La signoria dei Manfredi governò su Russi per tutto il resto del XV secolo
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Parte I – Origine

Equidistante fra Ravenna e Russi lungo la via faventina, antica strada romana che collegava Ravenna con Faenza, il territorio già conosciuto prima dell’anno mille come vico de Russia nel corso del XII e XIII secolo diventa in parte possessione dei Da Polenta. La famiglia stabilitasi a Ravenna approfitta delle tensioni dei conflitti intercomunali per aumentare il proprio peso politico, militare e sociale. Nella zona di confine fra Faenza e Ravenna, dopo la distruzione delle fortificazioni di Raffanara (San Giacomo) e Cortina da parte dei faentini, si realizzano nuove fortificazioni. Da un documento d’archivio del 1367 si citano testimoni di un atto stipulato in tale Castro Russi districus Raven. provenienti dal Castrum e dalla villa Russi, distinguendo i due luoghi: uno nei pressi dell’attuale castello, l’altro nei pressi dell’antica chiesa di Sant’Apollinare nella via chiamate Tombe ora Modigliani, a poca distanza dalla villa romana il più antico insediamento abitativo del nostro comune.

I Da Polenta quindi fortificarono la zona a difesa dei loro possedimenti e anche per valorizzare la località come centro mercantile e percorso obbligato lungo la direttrice Firenze-Ravenna. La datazione del 1371 a cui far risalire il Castrum Russi si riferisce alla Descriptio Romandiole, documento censuario e fiscale, redatto dal Cardinale Anglic Grimoard de Grisarc, Legato Apostolico di Bologna e Romagna, fratello di Papa Urbano V.

Secondo documentazioni d’epoca Guido Da Polenta soggiornò nel castello di Russi dal 1371 al 1377.

da: Giorgia Foschini, CASTRUM RUSSI, Pro Loco Russi 2007

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